Con la cerimonia di premiazione si chiude l’edizione numero 81 della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Edizione segnata dal ritorno delle star di Hollywood, dopo la fine dello sciopero dell’anno scorso, che però non sempre si è tramutata in soddisfazione con la visione dei film.
Perplessità sulla qualità delle opere, condivisa sia dalla critica che dal pubblico, per quanto riguarda il secondo, e forse definitivo, episodio di “The Joker”, che perde la forza eversiva del personaggio del primo in favore di piatte esibizioni canore, tipo musical, motivate dalla necessità di giustificare la presenza di Lady Gaga, i due “Wolfs” George Clooney e Brad Pitt più gatti che giocano tra di loro in un film che esaurisce in poche minuti l’idea iniziale.
La stessa Nicole Kidman, premiata generosamente dalla Giuria con la Coppa Volpi quale migliore attrice, per un’interpretazione in “Babygirl” della manager di successo che vive un’avventura sessuale con un giovane stagista che non certamente memorabile. Purtroppo l’attrice non ha potuto ritirare il premio a causa della scomparsa della madre. Il Leone d’oro di Almodovar era un Premio annunciato.
Nel suo primo film in inglese (scelta in prospettiva Oscar?) “The next door”, la porta accanto, il regista spagnolo si affida a due grandi attrici come Tilda Swinton e Julianne Moore per raccontare come una assista l’altra nella scelta di fine vita. Tema che percorre molti Paesi, tra i quali l’Italia.
Soddisfazione per il Leone d’argento - Gran Premio della Giuria a Maura Delpero per “Vermiglio”, premiata per un’opera rigorosa dal punto di vista stilistico, che riesce a far convivere nella stessa opera la forza delle immagini e la scelta narrativa.
Delpero aveva esordito proprio qui a Venezia nel 2008 con un documentario Signori professori, che si era aggiudicato un premio collaterale. Il primo film di fiction è stato Maternale nel 2019. Rigore stilistico che accomuna questo film all’altro premiato con il Premio Speciale della Giuria che è stato conferito a “April” della regista georgiana Dea KulumbegashviliI, film molto atteso dopo l’ottima accoglienza di Beginning.
La regista traccia con l’utilizzo, a volte eccessivo di lunghi piani sequenza, che condizionano la resa espressiva degli attori, il percorso di Nina, un’ostetrica che, pur di tutelare le donne di un’isolata zona della Georgia, infrange la vigente legge di quel Paese attualmente limitante nell’accesso alla maternità responsabile.
I pronostici sono stati rispettati anche per il Leone d'Argento per la miglior regia assegnato a Brady Corbet per “The Brutalist”.
La soddisfazione dei superstiti alle tre ore e mezza della visione del film aveva pervaso tutto il Lido anche per la prova del protagonista Adrien Brody. Il premio Mastroianni a un giovane attore è andato a Paul Kircher per il film Leurs enfant après eux, una delle cose buone del film dei gemelli francesi Ludovic e Zoran Boukherma con un andamento narrativo troppo altalenante nella storia del giovane Paul adolescente degli anni 90 che vive nell’est della Francia, in una zona attraversata dalla grave crisi economica di quegli anni.
La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile è andata, meritatamente, a Vincent Lindon per il ruolo del padre vedovo in “Jouer avec le feu”, giocare con il fuoco, delle sorelle Delphine e Muriel Coulin. Tratto anche questo da un romanzo di successo, porta sullo schermo la storia di Pierre, ferroviere vedovo, padre di Fus e Louis.
In opposizione con gli insegnamenti ricevuti Fus aderisce ad un gruppo di estrema destra, cosa che lo porterà a compiere dei gesti molto gravi per i quali sarà condannato ad una lunga detenzione. Il tema è vicino a quello di “Familia” di Francesco Costabile, per il quale Francesco Gheghi ha ricevuto il Premio equivalente nella sezione Orizzonti.
La storia di Luigi Celeste, anche se ha al centro la lunga storia di violenza che subito la mamma Licia, vira verso la violenza quando il protagonista aderisce anche lui ad una formazione di estrema destra. La pericolosità della diffusione di queste ideologie che attraversa tutto il pianeta, unitamente al pericolo del cambiamento climatico, è stata illustrata benissimo nel docufilm “2073” di Asif Kapadia.
La necessità della presa di coscienza del ritorno dei totalitarismi è l’argomento del Premio alla sceneggiatura che Murilo Hauser e Heitor Lorega hanno vinto per il film “Ainda estou aqui” (sono ancora qui) di Walter Salles.
Premio che sa tanto di riparazione per un film che avrebbe meritato qualcosa di più importante per l’opera in sé e per il favore del pubblico del Lido.
La storia di Eunice Pavia, interpretata da Fernanda Torres, tra le migliori attrici brasiliane, che dal 1971 ha cercato di ottenere in maniera ufficiale una dichiarazione di morte del marito Rubens, desaparecido dopo essere stato sequestrato dalla dittatura di allora.
Solo dopo lunghe battaglie legali riesce nel suo scopo per il quale afferma è strano essere felici di avere un certificato di morte del proprio marito.
La narrazione delle dittature, con un registro più satirico, è l’argomento di “Anul nou care n-a fost” (L’anno nuovo che non venne mai), vincitore quale miglior film nella sezione Orizzonti di Bogdan Mureșanu sull’ultimo Capodanno del regime di Ceausescu.
Nel dicembre 1989 il violento regime era oggetto di forti contestazioni che si erano trasformate in moti di piazza nel corso dei quali la Securitate aveva ucciso molti dimostranti. Le storie personali di sei cittadini si intrecciano con la Storia collettiva fino al noto epilogo finale sulle travolgenti note del Bolero di Ravel. (Alfredo Salomone)